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Diritto all'oblio e rimozione dei risultati di Google: i primi provvedimenti del Garante

Dirittoall'oblio_googleI Garanti Europei stanno valutando i ricorsi dei cittadini che hanno chiesto a Google di cancellare i risultati delle ricerche correlate al loro nome. In Italia sono già stati valutati oltre una decina di ricorsi, con esiti differenti.

Il Garante privacy italiano ha adottato i primi provvedimenti relativi ai ricorsi di cittadini a cui Google ha negato la deindicizzazione delle pagine contenenti informazioni ritenute dagli interessati lesive della propria reputazione. Le segnalazioni e i ricorsi pervenuti al Garante, riguardano la richiesta di rimozione di risultati di ricerca relativi a vicende processuali.

In seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014, che ha stabilito che Google deve cancellare dai risultati di ricerca relativi a nomi di privati cittadini le informazioni “inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti” qualora i cittadini lo richiedano, la compagnia di Mountain View ha pubblicato un modulo per il “diritto all’oblio”, grazie al quale gli utenti possono chiedere la cancellazione dei risultati associati al loro nome.

Riprendendo la decisione della Corte, Google ha specificato che la richiesta di rimozione può essere inoltrata da chiunque ritenga che le informazioni possano essere inadeguate, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessive in relazione agli scopi per cui sono state pubblicate.

L’eventuale deindicizzazione delle pagine è valutata da Google sulla base di alcuni elementi, tra cui l’interesse pubblico a conoscere la notizia, il tempo trascorso dall’avvenimento, l’accuratezza della notizia e la rilevanza della stessa nell’ambito professionale di appartenenza. Se la società rigetta la richiesta, gli utenti italiani possono fare ricorso al Garante per la privacy o all’autorità giudiziaria.

Fino ad oggi sono alcune decine le segnalazioni giunte all’Autorità per la protezione dei dati personali, che si è già pronunciata su nove casi.

In sette provvedimenti il Garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo corretta la valutazione di Google che aveva ritenuto prevalente l’interesse pubblico verso le informazioni. Si trattava infatti di notizie su vicende processuali troppo recenti o non ancora concluse.

L’Autorità ha invece accolto il ricorso di due cittadini. Nel primo caso, relativo a documenti pubblicati su un quotidiano online, perché erano presenti numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria riportata. Nel secondo caso, riguardante informazioni pubblicate su un blog, perché i dati erano riferibili ad una vicenda di cronaca del 2006 che aveva visto il ricorrente imputato per ipotesi di reato riguardanti rapporti sessuali con minori, da cui era stato assolto nel 2009. Informazioni che il Garante ha ritenuto “inserite in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona” e in violazione delle norme del Codice privacy e del codice deontologico che impone di diffondere dati personali nei limiti dell'”essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico” e di non descrivere abitudini sessuali riferite a una determinata persona identificata o identificabile.

L’Autorità ha quindi prescritto a Google di deindicizzare le pagine segnalate.

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Direttore Scientifico
Prof. Avv. Giusella Finocchiaro
Curatrice Editoriale
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