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Garante: nei criteri per la valutazione del diritto all'oblio non conta solo il tempo trascorso dai fatti

Il tempo non è l’unico elemento da considerare quando si esaminano casi di Diritto all’oblio, il ruolo pubblico svolto dai soggetti coinvolti e l’attualità della notizia sono fattori importanti che vanno presi in esame.

Sebbene il tempo trascorso dai fatti riportati sui giornali sia l’elemento più importante per valutare l’accoglimento di una richiesta di “diritto all’oblio”, in una recente pronuncia il Garante privacy ha ricordato che è necessario valutare anche ulteriori circostanze.

La decisione riguarda il ricorso presentato da un alto funzionario pubblico che chiedeva a Google la rimozione di alcuni risultati di ricerca ottenuti digitando il proprio nome. Si trattava di link ad articoli nei quali erano riportate notizie relative ad una vicenda giudiziaria risalente a 16 anni fa, che si era conclusa con la condanna del funzionario, che poi negli anni a seguire era stato integralmente riabilitato. Uno degli articoli di cui si chiedeva la rimozione era stato pubblicato all’epoca dei fatti mentre altri, più recenti, avevano ripreso la notizia in occasione dell’assunzione di un nuovo importante incarico da parte dell’interessato.

Il Garante ha affermato che nel valutare un caso di diritto all’oblio occorre prendere in esame tutti i risultati di ricerca ottenuti digitando il nome e cognome dell’interessato, anche associato ad ulteriori parole di specificazione, quali il ruolo ricoperto o la circostanza dell’avvenuta condanna.

Un’interpretazione in linea con la nota sentenza della Corte di Giustizia del 13 maggio 2014 conosciuta come “Google Spain”, nella quale si afferma che il motore di ricerca è obbligato a eliminare, dall’elenco di risultati di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web, e anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita. Secondo la sentenza devono essere presi in considerazione tutti gli url raggiungibili effettuando una ricerca “a partire dal nome”, senza escludere quindi la possibilità che ad esso possano essere associati ulteriori termini volti ad ottenere risultati specifici.

Chiarito questo punto rilevante, l’Autorità ha dunque ordinato a Google di deindicizzare l’URL che rinviava all’unico articolo avente ad oggetto, in via diretta, la notizia della condanna penale inflitta al ricorrente. Il Garante ha ritenuto infatti che, considerato il tempo trascorso e l’intervenuta riabilitazione, la notizia non risultasse più rispondente alla situazione attuale.

Viceversa, per quanto riguarda gli altri articoli indicati dal ricorrente, il Garante ha riconosciuto che questi, pur richiamando la stessa vicenda giudiziaria, “inseriscono la notizia in un contesto informativo più ampio, all’interno del quale sono fornite anche ulteriori informazioni” legate al ruolo istituzionale attualmente ricoperto dall’interessato e che tali risultati erano di indubbio interesse pubblico “anche in ragione del ruolo nella vita pubblica rivestito dal ricorrente”. Pertanto, riguardo alla richiesta di una loro rimozione, ha dichiarato il ricorso infondato.

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Direttore Scientifico
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Curatrice Editoriale
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