Diritto & Internet

Proteste in rete per la chiusura di Megaupload

account-premium-megaupload-fileserve-hotfile-gratis-freeUna recente operazione dell’FBI, in collaborazione con forze dell’ordine internazionali, ha portato alla chiusura del potrtale Megaupload.com e all’arresto di 7 persone accusate di aver gestito un’organizzazione criminale internazionale responsabile di aver distribuito illegalmente in tutto in mondo un’enorme quantità di materiale protetto da copyright attraverso il sito di condivisione file Megaupload.com e altri siti ad esso collegati.

La notizia, annunciata dall’FBI e dal Dipartimento di Giustizia americano, ha fatto in poche ore il giro del web grazie ad un tam-tam mediatico senza precedenti. Il portale Megaupload gode infatti di una straordinaria popolarità tra gli utenti della rete, tanto da essere stato annoverato fra i siti più conosciuti al mondo. Il Dipartimento di Giustizia ha annunciato che si tratta della più grande operazione contro la pirateria mai portata a termine dagli Stati Uniti. Secondo le stime degli inqirenti, Megaupload.com aveva accumulato dalla sua fondazione nel 2005 un profitto di oltre 175 milioni di dollari, in gran parte provenienti da guadagni su materiale protetto da copyright pubblicato illegalmente.

Le operazioni di arresto e la chiusura del portale sono state intraprese dopo la condanna emessa il 5 gennaio scorso dal Gran Giurì del Distretto della Virginia per associazione a delinquere in crimine organizzato, associazione a delinquere per violazioni del copyright, riciclaggio di denaro e violazione del diritto d’autore, contro le due società responsabili, la Megaupload Limited e la Vestor Limited, e le 7 persone al loro vertice, tra cui i fondatori, conosciuti come Kim Dotcom e Mathias Ortman.

Dotcom e Ortman, insieme al capo del marketing di Megaupload Finn Batao e al programmatore Bram van der Kolk, sono stati arrestati in Nuova Zelanda e sono ora in custodia cautelare. Altri tre collaboratori, tra cui il graphic designer del sito, sono stati arrestati in Europa nei loro paesi di residenza. L’operazione di cattura internazionale ha coinvolto oltre l’FBI e il Dipartimento di giustizia americano anche le forze dell’ordine di Nuova Zelanda, Germania, Regno Unito, Olanda, Hong Kong, Australia, Canada e Filippine.

La chiusura del portale e l’arresto dei suoi titolari ha creato grande sconcerto in rete. A pochi minuti dalla diffusione della notizia, l’hashtag #megaupload era già al primo posto dei topic più discussi di Twitter, dove per ore si sono succeduti messaggi di protesta contro l’azione dell’FBI. Tra questi anche i messaggi di molti utenti di Megaupload che lamentavano la chiusura forzata del loro account, dove avevano archiviato materiale – legale – personale.

La protesta non si è limitata a Twitter. Sui siti delle principali associazioni per la salvaguarda dei diritti dei cittadini della rete si è levata la protesta a favore della libertà di espressione e contro l’attribuzione di responsabilità al provider di servizi, mentre sui social network molti commenti denunciavano la sproporzione tra le pene previste per  i gestori di Megaupload e quelle, ad esempio, riservati ai condannati per crimini violenti.

L’operazione dell’FBI non è certo passata inosservata agli hacker di Anonymous. Il gruppo ha risposto alla chiusura di Megaupload con un immane attacco DoS ai principali siti istuzionali americani tra cui quello del Dipartimento di Giustizia e dell’FBI, oltre che ai siti delle grandi compagni dell’Entertainment e delle più attive organizzazioni a favore del copyright come la RIIA (Record Industry Association of America) e la MPAA (Motion Picture Association of America).

L’azione degli hacker è stata, come di consueto, accompagnata da un annuncio su pastebin dove viene esplicitata la correlazione tra la chiusura di Megaupload e l’attacco ai siti americani. L’annuncio è correlato dalla diffusione dei dati personali dei principali esponenti del RIIA.

La portata delle azioni intraprese sia dall’FBI che dagli hacker ha portato molti commentatori a parlare di “prima guerra digitale”. In molti si sono chiesti se non ci sia una correlazione diretta tra questi fatti e la protesta contro il SOPA e il PIPA, di cui abbiamo recentemente parlato.

Giulia Giapponesi

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