Diritto & Internet

Pubblicate le motivazioni della sentenza sul caso Google-Vividown

È stato pubblicato il documento che riassume le motivazioni della sentenza che lo scorso febbraio ha condannato tre dirigenti di Google a sei mesi di carcere per aver permesso la diffusione di un video in cui un ragazzino disabile veniva umiliato dai compagni di classe, caricato su Google video da una ragazzina.

Era già noto che il giudice non avesse condannato i dirigenti per il reato di diffamazione, voluto dall’accusa, ma per violazione della privacy. Ora le motivazioni chiariscono che la colpevolezza ricade nella vaghezza delle indicazioni in materia che Google Video riserva agli utenti che praticano l’upload degli audiovisivi, specialmente perché questa mancanza di cura comunicativa ricade nell’ambito di un’attività svolta con finalità di lucro. In sostanza, la ragazzina che ha caricato il video non è stata sufficientemente esortata a prestare attenzione al rispetto della privacy del protagonista del filmato e Google, tramite il servizio pubblicitario AdWords, ha tratto profitto dalla pubblicazione dell’audiovisivo che è rimasto online per circa due mesi.

Secondo il giudice di Milano, in materia di privacy poco importano le differenze fra content provider e host provider, non esiste una zona franca che consenta a un soggetto di ritenersi esente dall’obbligo di legge nel momento in cui venga, in qualsiasi modo,  in possesso di dati sensibili di terzi. “Non esiste la sconfinata prateria di internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato, pena la scomunica mondiale del popolo del web. Esistono invece leggi che codificano comportamenti che creano degli obblighi che ove non rispettati conducono al riconoscimento di una penale responsabilità”, si legge nel documento.

Nelle considerazioni finali il giudice ha anche espresso il proprio stupore per la risonanza mediatica della sentenza. Il fatto che in Italia sia stata ordinata la reclusione a un anno di carcere (ridotto a 9 mesi e per le attenuanti e a 6 per il rito abbreviato) per tre dirigenti di un colosso internazionale che opera in 160 paesi del mondo, non avrebbe dovuto, nella visione del giudice, destare questo clamore.

A dispetto di questo parere, tuttavia, anche la notizia della pubblicazione delle motivazioni della sentenza ha fatto il giro del mondo, dal New York Times al Times of India sono state riprese le parole del giudice di Milano, a ribadire l’attenzione internazionale sulla vicenda.

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Curatrice Editoriale
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